Se pensiamo all’abbigliamento come metafora dell’sè, ogni capo diventa un simbolo della complessità e ricchezza dell’essere umano. Esattamente come esistono infiniti capi e combinazioni, esistono anche infiniti Sé: unici, sfaccettati, irripetibili.
Per approfondire questo legame tra moda e identità, abbiamo parlato con Beatrice Luni, fashion graphic designer, appassionata di streetwear e musica. Il nostro dialogo ha messo in luce quanto i processi identitari e quelli legati alla scelta di un capo siano profondamente intrecciati.
Beatrice, in che modo pensi che un capo d’abbigliamento che possa diventare un’estensione dell’identità?
Un vestito non è mai solo un oggetto da indossare ma è un potente strumento per esprimere chi siamo e raccontare qualcosa di noi. Ci identifica.
Se ci pensi è la prima cosa che nota chi ci guarda, una forma di comunicazione non verbale immediata, il primo biglietto da visita che diamo! E non conta solo cosa si indossa, ma anche come lo si indossa.
Ti faccio un esempio: se scelgo di mettere una felpa di tre taglie più grande, potrebbe significare che voglio nascondermi perché mi sento insicura oppure, al contrario, che mi sento estremamente sicura di me. Il significato cambia a seconda di chi la porta e di come la porta.
Pensi che a volte l’abbigliamento possa servire a difenderci dal mondo?
Sì, credo che l’abbigliamento possa davvero funzionare come una corazza, una barriera tra noi e il mondo. È un filtro che ci protegge, ci dà il potere di decidere cosa mostrare e cosa nascondere, riducendo la nostra vulnerabilità.
Un esempio evidente? Gli occhiali da sole.
Ma quando qualcuno ci conosce davvero, quella facciata perde significato. È lì che restiamo “svestiti”, visti per ciò che siamo davvero.
Credi che la grafica applicata all’abbigliamento possa anticipare, accompagnare o addirittura influenzare trasformazioni identitarie?
La grafica è un linguaggio visivo che va oltre il semplice capo d’abbigliamento: rappresenta valori, credenze e idee che riflettono la nostra identità individuale e collettiva. Quando è applicata all’abbigliamento può essere un modo per mostrare a quale gruppo o movimento ci sentiamo di appartenere.
Molti, specialmente i più giovani, indossano t-shirt con messaggi e simboli per definire chi sono o come vogliono essere visti. Ma non è solo un riflesso della nostra identità: la grafica ha sempre avuto il potere di esprimere, condizionare e anticipare cambiamenti nella società.
Pensiamo a movimenti come la sostenibilità o i diritti civili che sono passati anche attraverso slogan su magliette (Black Lives Matter, We should all be feminists, Fight the power, il volto di Che Guevara,…).
La moda in questo caso diventa un mezzo per esprimere attivismo, identità e lotte sociali, trasformando una semplice t-shirt in un manifesto che ispira e dà forma a nuove coscienze collettive.
Come pensi si intreccino il desiderio di appartenenza e quello di espressione individuale?
La moda è sempre un mix tra individualità e conformismo: da un lato desideriamo appartenere a qualcosa, dall’altro vogliamo distinguerci. Anche chi afferma di non seguire la moda, in realtà, finisce per sviluppare uno stile personale – magari senza nemmeno accorgersene, non trovi?
Ed è proprio qui che entrano in gioco la grafica e le personalizzazioni dei capi: sono il modo perfetto per mettere un tocco personale su quello che indossiamo, distinguendoci dalla massa. Insomma, quel famoso “dettaglio che fa la differenza”.
Alcuni capi diventano simbolici nella nostra storia personale, ne hai uno?
Solo uno? Ne ho tantissimi! Il mio armadio è un vera e propria cassaforte di emozioni.
Se dovessi sceglierne uno su tutti allora è una t-shirt dei Metallica. Era il 2004, il primo concerto della mia vita, mi avevano accompagnata i miei genitori.
Un ricordo indelebile. L’ho indossata così tanto che la stampa è ormai sbiadita e il tessuto, da nero, è diventato grigio.
È più di una maglietta: è una parte di me.
L’abbigliamento come linguaggio dell’identità
L’abbigliamento, se osservato attraverso lo sguardo di Beatrice, va ben oltre la semplice funzione estetica: diventa un potente strumento psicologico e sociale. Ogni capo che indossiamo è parte della nostra storia personale, un frammento di identità, un modo per esplorare e definire chi siamo agli occhi dell’altro.
È affascinante notare come la moda ci offra molteplici possibilità di movimento nel mondo: ci consente di raccontarci mostrando, di proteggerci nascondendo e persino di trasformarci, grazie alla sua intrinseca liquidità e flessibilità.
Proprio come nella costruzione del Sé, non esiste una versione unica e definitiva di noi stessi, ma un’infinità di possibilità espressive che convivono nei nostri armadi.
Conclusione: Moda, identità e possibilità di relazione
Secondo il costruttivismo, l’identità non è qualcosa di fisso, ma una narrazione in continua evoluzione, modellata dalle nostre esperienze, dalle relazioni e dai contesti sociali in cui ci muoviamo. In questa prospettiva, l’abbigliamento diventa un’interfaccia tra l’Io e l’Altro, uno spazio di mediazione tra la nostra interiorità e il mondo esterno.
Quando il vestire assume il ruolo di linguaggio, si aprono nuove possibilità di relazione: il modo in cui ci presentiamo può diventare un veicolo per farci comprendere senza giudizio, un invito all’immaginazione e all’immedesimazione.
L’abito, così, non solo comunica chi siamo, ma stimola l’altro a immaginare chi potremmo essere.